Sulle creste Nord dei Sibillini

Il Bove Nord e Sud, cima di Passo cattivo e di Vallinfante

In ognuno di noi, chi ama la montagna intendo dire, ci sono montagne e ci sono le Montagne. Con Giorgio e grazie a lui, ho avuto modo di dare espressione alla mia passione; ho conosciuto ormai tutte le catene montuose dell’Appennino centrale e ne ho percepito le peculiarità dei territori. Ne ho apprezzato le caratteristiche naturali, i paesaggi diversi e propri di ogni gruppo, la posizione rispetto al resto dei gruppi montuosi, gli orizzonti che lasciavano intravedere e ammirare. E più salivo i più svariati gruppi, più sentivo l’unicità del miei primi monti. I Sibillini. Conosco queste montagne come forse nessun altro gruppo, ne sono affascinato, attirato e tutte le espressioni di felicità d’alta quota convergono nei ricordi di queste creste. Solo le vette di due monti dei Sibillini non ho ancora toccato. Una è il Monte Rotondo, l’altra è il Bove Nord. Giorgio l’ha battezzata la “mia montagna”. Più la cerco e più mi sfugge. L’anno scorso, di questo periodo, eravamo lì per toccarla; io e Giorgio, proprio sulla vetta del Bove Sud, quando solo la cresta della valle omonima ci divideva dall’accappiata con la vetta gemella, ci siamo imbattuti in una strana, inspiegabile, assurda rinuncia che ci ha portato a non continuare. C’era vento forte, volevamo attraversare il versante fino al Berro e al Priora e dormire in tenda, e poi il giorno successivo tornando indietro scivolare fino alla vetta del Bove Nord; qualche dubbio sulla notte che ci aspettava lo avevamo, temevamo di passarla insonni a tenere le tende sbattuti dalle folate del vento; sulla vetta del Bove Sud ci chiedevamo dell’opportunità di continuare. Avevamo diverse opzioni, tra le quali quella di toccare subito il Bove Nord e rinunciare alla sola estensione verso est del percorso. Invece niente. Eravamo lì e innervositi dalla situazione non abbiamo nemmeno preso in considerazione l’idea; ci siamo buttati in discesa per scappare dal vento. Solo al sicuro dalle folate, molto più in basso la consapevolezza di aver perso e buttato questa opportunità si è palesata in tutta la sua sciocca banalità. Per un anno ci siamo chiesti di questo gesto. Per un anno intero ho covato il desiderio di raggiungere e completare il Bove col suo maestoso circo vallivo. Così da tempo nutrivo l’intenzione di organizzare un week end lungo sui Sibillini, con l’idea di coronare il mio progetto. Sulle pendici del Monte Bicco, l’hotel Felycita , rappresentava l’ideale punto di partenza con obiettivo il Bove. Giorgio al solo sentire del progetto aderiva con entusiasmo. Era fatta. Il week end del 18-19 Luglio, con un mese di anticipo attaccavo i sogni ad una prenotazione effettiva. E per un mese intero ho vissuto con l’idea della vetta del Bove. Ma la sorte non aveva terminato ancora di giocare a nascondino con noi. Solo il Giovedì precedente la partenza, dopo una settimana passata a galvanizzarci, Giorgio ha dovuto rinunciare al progetto per problemi in famiglia. Sembrava una congiura. Ogni volta che si parlava del Bove il destino calava i suoi assi. Non volevo pensare ad una sfida con la montagna, ma da troppo tempo avevo pensato e vissuto questo momento, per cui, con Emanuela, mia moglie, coinvolta nel progetto della pausa feriale di tipo montano abbiamo dato seguito alla pur breve vacanza. Partenza con tutta calma il venerdì 17 e dopo esserci goduti i colori di una fioritura tardiva della piana di Castelluccio e i sapori antichi di una famosa taverna del borgo nel pomeriggio di una calda e afosa giornata raggiungevamo l’hotel alle pendici del Bove. Dalla finestra della stanza scrutavo il percorso di salita e fantasticavo sulla stessa in solitaria. Ho preparato lo zaino e mi sono gustato l’attesa delle conquista. Nulla lasciava presagire ciò che la sorte aveva riservato ancora al mio desiderio del Bove Nord. La mattina successiva fin dalle prime ore , ma a dire il vero alcune previsioni meteo lo avevano annunciato, la giornata si manifestava subito incerta. Il cielo era percorso da densi fronti nuvolosi, molto scuri e minacciosi. Solo alcune chiazze di azzurro lasciavano speranze. Erano le sei del mattino; ero lì per quella montagna, mai e poi mai un po’ di nuvole mi avrebbero distolto dal progetto. Balzo fuori dall’hotel alle 6,30 e prendo rapidamente il sentiero 272 che nasce immediatamente a sinistra dell’albergo. Scendo veloce nel bosco verso l’imbocco della Val di Bove. Un occhio sempre rivolto al cielo. Sentivo l’incertezza e questa metteva le ali ai miei piedi. Prendevo a salire il ripido vallone incastrato tra le rocce del Bicco e la punta nord del Bove, quella con la croce che affaccia su Ussita per intenderci, quella che maldestramente ha subito l’ennesimo divieto di calpestio a causa di un tentativo di ripopolamento col Camoscio appenninico. Salivo affannosamente per il ritmo impostomi con uno sguardo rivolto ormai alla cima del Bicco e alla cresta del vallone. Proprio all’uscita del bosco, quando verso nord l’orizzonte era ancora chiazzato da macchie azzurre di cielo, le creste intorno al vallone del Bove andavano sparendo immerse da dense e veloci nubi nerissime. Nel giro di pochi minuti il catino del vallone si riempiva di un manto grigio impenetrabile. Seri dubbi si impossessavano delle mie paure. Guardavo la cima del Bove Nord, era ormai a portata di piede quando avevo già cominciato a salire le sue pendici più ripide; parlavo con la montagna. Non credevo che mi si rifiutasse ancora. Verso sud, sopra Visso, il cielo era nel frattempo di un nero assoluto. I fronti nuvolosi si andavano addensando sempre più velocemente anche se ancora bassi. Ripensavo alle previsioni meteo che prevedevano un rapido miglioramento nel pomeriggio ma non ne vedevo appigli per cui crederci. Sapevo di avere il tempo contato. La vetta Nord del Bove era ancora libera da nubi. Ho deciso di prepararmi alla pioggia, ho indossato la giacca e rompendo ogni indugio e ogni strategia ho preso a salire in linea retta verso la cima. Una salita feroce, una lotta contro il tempo e contro le nuvole. Avevo la certezza che avrei toccato la cima ma non sapevo in che stato l’averi trovata. E lì, a 10 minuti dal raggiungerla le nubi sono state più veloci di me. L’hanno avvolta e fatta sparire, l’hanno sbattuta da folate di vento e da scrosci violenti di pioggia ormai fitta e fredda. Stavo per raggiungere la mia vetta, la vetta dei desideri dell’ultimo anno e intorno a me non c’era più nulla. Alle 8,20 L’ho raggiunta, toccata, a piccoli istanti liberata dalle folate del vento anche vista, ma per quello che era potevo essere in ogni altro crinale di qualsiasi montagna. Non riuscivo a guardarmi intorno; la pioggia era fortissima e il vento la sbatteva con forza sulle mie protezioni. Non c’era il pur minimo segno di un miglioramento. Non c’era altra scelta che scendere. L’onore era salvo, il Bove Nord era stato vinto, ma il desiderio di spazi e di orizzonti no. Non avevo il tempo di rammaricarmi e di imprecare; la discesa ormai scivolosa e su un terreno per giunta ripido era insidiosa. Ho percorso la pagina della montagna con un lungo traverso per attenuare la pendenza e ho guadagnato subito quota. Con essa anche un po’ di stasi degli elementi. Il resto del ritorno , per i sentieri di andata, è stata una lenta, mesta e bagnata ritirata. Alle 10 ero in albergo, poco dopo, una colazione ristoratrice e una ancor più confortante doccia mi hanno riportato nel mondo dei più. Ero mesto. L’obiettivo raggiunto in maniera così sofferta e inconsistente non appagava il mio spirito. Nulla avevo visto della mitica Val di Bove, niente mi era rimasto dentro delle creste del circolo vallivo delle montagne circostanti conosciute ma invisibili. La giornata non è andata persa tuttavia. Il territorio permette molte alternative, culinarie, culturali e paesaggistiche. Sarà comunque la magia del posto, sarà il confronto con Emanuela, sarà che le previsioni meteo davano per la giornata successiva condizioni ottimali, sarà che il maestrale che ha soffiato per buona parte della giornata prometteva orizzonti infiniti per il giorno successivo ma la velleità di riconquistare il Bove e tutta la sua magia è tornata prepotente dentro di me. In un attimo ho chiesto collaborazione ad Emanuela e ottenuto l’OK il progetto nuovo e più ambizioso ha preso consistenza. L’indomani, con alzataccia addirittura anticipata alle cinque sarei ripartito per toccare di nuovo il Bove Nord, per percorrere tutta la cresta della valle del Bove, per ritoccare per la seconda volta dopo un anno dalla prima il Bove Sud e da lì, invece che puntare al Bicco e tornare indietro, scendere per Passo Cattivo, salire Cima di Vallinfante e scendere fino al Monte Prata dove Emanuela mi sarebbe venuta a recuperare. E la Domenica è stata la giornata perfetta che attendevo. Il percorso è stato maestoso, sotto un fresco vento di maestrale che ha reso leggero il procedere ed un sole sempre presente a riscaldare la fresca temperatura dell’aria. Alle 5,20 ho lasciato l’Hotel Felicita, ho ripercorso il sentiero del giorno precedente questa volta godendo dell’imperioso catino della Val di Bove; alle 7,40 in prossimità della vetta del Bove Nord mi sono riscaldato dai primi raggi di sole e ho goduto di orizzonti infiniti. Che dire di questi? Semplicemente infiniti, emozionanti, unici nei colori del mattino e nell’aria tersa come mai in questi periodi. La valle sottostante, sotto il Berro era ancora avvolta dalle ombre, ma al di sopra, oltre il rifugio del Fargno lo sguardo spaziava fino al Monte Conero, fino al mare. Più a Nord il Monte San Vicino, la mia montagna dei sogni da bambino, svettava quasi a dispetto dei sui modesti 1500 metri di altezza. Ancora più a Nord lontano, non ben definita probabilmente la punta dello sperone inconfondibile di San Leo. E poi il Terminillo ad Ovest dava continuità, quasi fosse lì dietro, alla verticale rocciosità del Berro. Dietro il Bove Sud, ancora più ad Ovest la piramide inconfondibile del Velino sorprendeva con la sua insolita presenza. Le montagne dell’Appennino tutto si erano vestite dell’abito più bello e più vistoso. E poi i Sibillini. C’erano tutti i profili familiari. Per 40 minuti ho goduto dello spazio infinito con ingordigia e foga per non perdere nemmeno un particolare. Alle 8 ho ripreso la cresta verso il Bove Nord. Ad ogni passo la luce sembrava dare altri connotati ai paesaggi. La cresta verso il Berro era sempre più vicina, sembrava chiamare. Solo i resti degli impianti sciistici abbandonati e da tempo in disuso sulle creste della Val di Bove richiamavano alla presenza dell’uomo. Più avanti, quando la conca della valle si chiude e la cresta tende ad Ovest si fa prepotente la vista verso il Priora e verso la Sibilla. In mezzo la Valle dell’Infernaccio che si apre sulla Valle del Tenna boscosa e umida dove si trova la sorgente dell’omonimo fiume. Al di sopra di questa grandiosa e suggestiva forra, ancora illuminato da un sole basso i riverberi del mare dove si staglia il profilo del Monte dell’Ascensione, il Monte di Ascoli Piceno. E’ un susseguirsi di creste e valli profonde. E’ il fascino unico dei Sibillini. E lo sguardo segue tutte le creste, le sale e le scende, tocca tutte le vette già conosciute, va oltre dove solo l’immaginazione e l’esperienza possono condurre. Il Vettore e il Redentore sono lontani ed imponenti; anche Castelluccio e la sua piana colorata sono raggiunti da uno sguardo insaziabile. Il resto è una cavalcata lenta, a godere dei precipizi, delle valli, dei fiori ovunque presenti e degli orizzonti lontani. Il Passo Cattivo, forse così chiamato per i sui contrafforti a precipizio su Vallinfante da dove si domina decisamente la valle del Tenna e la gola dell’Infernaccio, dove prende corpo il progetto dell’attraversamento della catena dei Sibillini da Est ad Ovet, e la salita fino alla Cima di Vallinfante dove lo sguardo si impossessava del Priora e del Redentore sono gli ultimi attimi fondamentali di questa giornata grandiosa. La discesa veloce fino alla Fonte della Jumenta e da li fino al parcheggio degli impianti di Monte Prata dove Emanuela mi sta già aspettando sono gli ultimi istanti di questa strepitosa cavalcata. Alle 12,30 il sogno si chiude. Questa volta il Bove e i Sibillini tutti mi hanno concesso la loro immagine più smagliante di sempre. Stregato. Definitivamente stregato da questa catena montuosa sono stato. Queste montagne sono casa mia, sono il rifugio per la pace dell’anima. Al rifugio Perugina chiudo il week end abbandonandomi ancora una volta ai sapori dei Sibillini vivendo l’ultima chicca della giornata. Riesco ad assaggiare per la prima volta i Violatri, una specie di spinacio più saporito però di quello che siamo abituati a mangiare, una verdura tipica e selvatica dei monti Sibillini intorno a Castelluccio. Prossimo appuntamento con i Sibillini sarà nella settimana di Ferragosto. Il progetto già in piedi prevede il pranzo al rifugio del Fargno e la salita all’ultima facile vetta che manca ancora all’appello, il Monte Rotondo. Poi i Sibillini riserveranno le vere chicche della catena, le valli profonde, le risalite verso le creste e le traversate. Se non credete al mio stupore verso questa catena non venite. Lasciatela solitaria, sarà più affascinante per chi l’ama come me. No scherzo, venite e rispettate queste montagne. Sono il nostro vero paradiso.